Mi è sempre piaciuto camminare nella natura, ma non sono certo un’esperta. E il trekking che ho fatto in Yakushima nell’agosto del 2013 mi ha messo a dura prova. Davvero.
Distanza percorsa 22 km con un dislivello di oltre 1.100 mt. Se siete dei trekkers, non sarebbe super difficile. Ma aggiungete altre due elementi: portare uno zaino che pesa 20kg e trovarsi in una foresta dal clima sub-tropicale con un’umidità che arriva al 100%. Immaginate un po’……..
Eppure ancora adesso, a distanza di qualche anno, ho un ricordo stupendo di quella vacanza… certo, anche della fatica! Ma ora vi racconterò un po’ come è nata l’idea di Yakushima e del trekking nella foresta.
Quell’estate io e mio marito avevamo deciso di passare le vacanze in Giappone per fare visita a parenti e amici, ma cercavamo anche un posto nuovo da vedere con una gita di 3-4 giorni, che fosse soprattutto naturalistico. E così mi è venuta in mente Yakushima, un’isoletta al largo della costa di Kyushu, la più meridionale delle quattro grandi isole del Giappone. La fama di Yakushima, dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità, sta nell’essere un vero e proprio paradiso naturalistico. Sulle sue coste depongono le uova migliaia di tartarughe e grazie alle abbondantissime piogge (piove in media 10 volte di più che a Tokyo), la sua foresta vergine cresce rigogliosa e ospita, oltre a scimmie e cervi, molti alberi secolari, tra cui il “Jomon-sugi” meta del nostro trekking (un maestoso cedro dell’epoca Jomon, che secondo alcune stime potrebbe avere addirittura 4000-5000 anni!).
L’arrivo a Yakushima
Per raggiungere Yakushima avete due alternative: o volate direttamente al suo piccolo aeroporto o, come abbiamo fatto noi, fate scalo a Kagoshima (Kyushu) e da lì prendete un catamarano che in un’ora e mezzo vi porta a destinazione. Se scegliete la seconda, fate attenzione però: la città di Kagoshima sorge accanto ad un vulcano, come Napoli sta al Vesuvio, solo che questo è attivo e ogni tanto le sue ceneri, a seconda di come soffiano i venti, creano disagi ai voli aerei. Quando siamo atterrati il vulcano Sakura-jima stava sbuffando. Non mi era mai capitato di trovarmi nei pressi di un vulcano in attività. A quanto pare, però, la gente di qua è abituata: a Kagoshima la vita scorre normalmente anche se in strada si deposita un leggero strato di cenere grigia e l’aria ha un vago odore di zolfo!!
Un’inaspettata cena gourmet
Siamo arrivati al porto di Anbo a Yakushima nel pomeriggio e siamo andati diretti al nostro alloggio, un piccolo ryokan gestito da una coppia del posto. Avevamo fame e così, invogliati dalla graziosa saletta ristorante (la cucina era a vista!), ci siamo seduti a tavola. L’atmosfera era molto cordiale (la moglie ai fornelli e il marito serviva ai tavoli), e l’arredamento curato. Non c’era un menu da sfogliare ma solo la proposta del giorno, dove tutto era a base di ingredienti locali.
Le premesse sembravano già buone, ma addirittura la cena è andata oltre le aspettative! Abbiamo assaggiato “kamenote” (letteralmente “zampa di tartaruga”, un delizioso crostaceo che ne ricorda la forma), poi fritto di “tobi-uo” (pesce volante), sashimi freschissimo e tanto altro. E se è vero che il buon cibo chiama il buon bere, come potevamo resistere all’invito del proprietario a provare “shochu” locale? 🙂 Shochu è un distillato che si ricava di solito dalle patate dolci, ma anche dall’orzo o dal riso, originario dell’isola meridionale di Kyushu, tra cui Kagoshima. Tra l’altro il vecchio nome della prefettura di Kagoshima era “Satsuma” e tutt’ora in giapponese per patate dolci diciamo “satsuma-imo”, per l’appunto patata di Satsuma, il che la dice lunga sulla sua importanza da queste parti.
Comunque, tornando alla cena, il proprietario aveva proprio ragione: a Yakushima sanno fare shochu davvero bene! Quello che abbiamo bevuto noi era distillato dalle patate dolci e prodotto non lontano dal nostro ryokan. Ahh che bella cena!! Avevamo così fame che non abbiamo fatto in tempo neanche a fare una foto! 😉
La mattina seguente, di buon’ora, siamo partiti alla scoperta dell’isola con un’auto a noleggio: ci hanno consegnato l’auto addirittura davanti l’alloggio! 🙂 L’aria era molto umida anche se non faceva ancora caldo. Lungo la strada abbiamo fatto una prima deviazione per vedere una cascata, sempiro no taki. Nei pressi c’era un chioschetto che serviva succo di canna da zucchero estratto al momento da una specie di grosso frullatore artigianale. Era buono, un po’ torbido e dolce, ma non troppo. Tornando indietro verso la macchina abbiamo visto dei simpatici granchietti rossi: ce ne sono tantissimi in tutta l’isola nei pressi dei piccoli corsi d’acqua.
Hirauchi kaicyu onsen
Fare il bagno in una vasca di acqua sorgiva termale scavata nella roccia guardando l’oceano Pacifico! Io sono giapponese e amo le “onsen” (terme in giapponese), ma non ne ho mai visto una così particolare. Senza spogliatoio, senza costume, senza niente. Le vasche non sono separate per uomini e donne, come di norma in Giappone, ma è tutto aperto (le donne però possono coprirsi con un asciugamano). “Be wild!” forse la parola più adatta a questo posto. Inoltre chi vuole fare il bagno qui deve approfittare delle ore di bassa marea (altrimenti le vasche sono sommerse dal mare). Io? Non avevo il coraggio di essere così wild, e allora ho fatto solo “ashi-yu” (una vasca bassa appositamente per immergere i piedi), giusto un “assaggio” di queste terme particolari.
Seibu rindoh
Dopo una sosta alla cascata più grande dell’isola, “oko no taki”, abbiamo proseguito sulla strada principale che, ad un certo punto, si fa più stretta ed entra nell’area protetta. Quasi tutti i visitatori che arrivano a Yakushima vanno a vedere il famoso “Jomon sugi”, ma stranamente lungo il “seibu-rindoh” (letteralmente strada della foresta occidentale), che attraversa la zona più suggestiva, remota e incontaminata dell’isola, abbiamo incontrato pochi turisti. Era un po’ difficile guidare qui, non tanto per la stradina stretta, quanto per scimmie e cervi che vagano indisturbati! Eravamo noi a dover aspettare che loro si spostassero e ci aprissero la strada.
Ad un certo punto davanti a noi abbiamo visto un’intero gruppetto di scimmie in relax sul bordo della strada. Accostata l’auto, siamo scesi e pian piano ci siamo avvicinati per fare qualche foto. Le scimmie sembravano non badare a noi, intente a dormire alcune, a grattarsi altre, e mangiare altre ancora. Era davvero bello poter vedere questi animali in libertà nel loro ambiente naturale. Di tanto in tanto passava qualche cervo ma, a differenza delle scimmie che quasi avremmo potuto accarezzare, questi erano più diffidenti e si tenevano ad alcuni metri di distanza. Comunque la scena più bella in assoluto è stata vedere una scimmia adulta che abbracciava e coccolava il suo piccolo, che ad un certo punto si è addormentato!
Faro e spiaggia di nagata
Per raggiungere questo faro abbiamo lasciato la strada principale, già abbastanza stretta, e deviato per una stradina ancora più stretta. Avevo un po’ paura di incrociare auto che tornavano dal faro. Infatti dopo ci hanno raccontato che su questa stradina è capitato che le auto si incastrassero nei canali di scolo dell’acqua piovana, che corrono ai lati. Per fortuna non abbiamo incontrato nessuna auto. Inoltre proprio quel giorno al faro c’era un simpatico signore che faceva lavori di manutenzione e ci ha fatto salire su in cima (di solito non si può entrare nel faro). Dal parcheggio c’era già una bella vista panoramica, ma da sopra certo che era più bello!
Lasciato il faro abbiamo proseguito per qualche km fino a “nagata hama”, una spiaggia protetta sulla costa occidentale dove periodicamente le tartarughe adulte tornano a deporre le uova e, alla loro schiusa, i piccoli seguendo l’istinto si dirigono verso l’oceano e iniziano il loro lungo viaggio, che li porterà di nuovo qui, una volta adulti, per deporre a loro volta nuove uova. Peccato che non era periodo di riproduzione!
Shitogo gajumaru-en
Ormai era pomeriggio e avevamo ancora un po’ di tempo prima di riconsegnare l’auto, così abbiamo approfittato per fare un giro in un parco molto carino, “shitogo gajumaru-en”. Qui crescono dei particolarissimi alberi di fico, le cui radici si sviluppano in altezza e si intrecciano su altri alberi, formando una specie di grande pianta rampicante. Sembrava di essere in una giungla. Ma c’era un “serio” inconveniente: le zanzare. Siccome era appena piovuto e stava uscendo il sole, l’aria era così umida che sembrava di respirare acqua. Centinaia di zanzare non ci hanno dato tregua, costringendoci a scappare dopo qualche minuto!! Però era proprio bello, i raggi del sole filtravano attraverso gli alberi e illuminavano il vapore che saliva dalla terra. Sembrava di essere in una foresta incantata!
Due giorni di trekking per Jomon-sugi
La maggior parte dei turisti che va a vedere il Jomon-sugi lo fa in una sola e snervante giornata di trekking. Di solito si parte all’alba e si torna al tramonto, 10 ore di cammino sul sentiero principale. Oppure, dopo aver raggiunto il grande cedro, si passa la notte in un rifugio ed il giorno dopo si sale fino al Miyanoura-dake (la cima più alta di Yakushima, 1936mt). Ma questo percorso, che attraversa un buon tratto dell’isola, è per esperti, e per noi era un po’ eccessivo. Quindi abbiamo puntato al Jomon-sugi seppur con delle eccezioni: partire da un’accesso a nord dell’isola per poi immetterci nel sentiero principale, e passare una notte in un rifugio. Ma non avevamo considerato che avremmo dovuto portare sulle spalle un zaino di 20kg…..
Ad ogni modo a Yakushima sono molto attrezzati per chi fa trekking. Si può noleggiare di tutto. Era comodissimo per noi che venivano da lontano e non potevamo portare tutto quello che serve per un trekking di due giorni. Abbiamo portato dall’Italia solo le scarpe da trekking, e tutto il resto lo abbiamo noleggiato: zaino, sacco a pelo, materassino, bastoni. Volendo si possono noleggiare anche gli scarponi ma ve lo sconsiglio: dovendo camminare tanto, meglio le scarpe che usate di solito, a cui i vostri piedi sono abituati.
Day-1
Quella notte alloggiavamo a Miyanoura, il secondo porto dell’isola. Al mattino abbiamo preso un taxi ed in un quarto d’ora eravamo all’ingresso di “Shiratani Unsui-Kyo”, nella parte nord dell’isola. Il sentiero che parte da questo accesso attraversa una fitta e lussureggiante foresta vergine. Il muschio davvero abbonda, ricoprendo tronchi e rocce.
Fatto colazione con il bento-box preparato dall’hotel (ahh che carino! 🙂 ), ci siamo messi in marcia. Certo, all’inizio eravamo pieni di energia, e sebbene il sentiero fosse piuttosto tortuoso, camminavamo a buon passo, chiacchierando e facendo foto. I raggi del sole che filtravano tra gli alberi illuminavano il muschio di un verde smeraldo: che meraviglia! Sembrava di essere in un mondo di film fantasy. Non a caso Hayao Miyazaki, il regista di anime giapponesi, si è ispirato proprio a questo ambiente per il film “Principessa Mononoke”.
Dopo un paio d’ore abbiamo intercettato e ci siamo immessi sul sentiero che proviene dall’ingresso principale, “Arakawa Tozan-ko”, a est dell’isola. Da lì la camminata è diventata più facile perché il sentiero correva sui vecchi binari del trenino che una volta veniva usato per portare il legname a valle. Dopo le prime due ore impegnative nella fitta foresta, ora era un sollievo.
Ma il sollievo è stato solo temporaneo….
Eravamo in marcia ormai da tre ore, lo zaino di 20kg sulle spalle cominciava a darmi fastidio, ed anche il sentiero, abbandonati i binari, diventava di nuovo più ripido e sconnesso. E poi, un’altra cosa che mi ha iniziato a infastidire era il “traffico” di persone che, partite la mattina prestissimo, erano arrivate al Jomon-sugi ed erano sulla via del ritorno. Erano davvero tante 🙂 Da quel momento in poi, noi che salivamo contro corrente, abbiamo iniziato a realizzare che l’esser partiti tardi rispetto a chi fa il trekking in giornata era un bel vantaggio. Questo perché non avevamo la fretta di dover tornare a valle in giornata. Questo pensiero, unito ad una pausa, ci ha rimesso di buon umore ci ha dato nuova concentrazione per continuare a camminare.
Il sentiero nel frattempo si addentrava sempre più nella foresta e diventava faticoso, ma per niente noioso. Tra terra battuta, passerelle in legno, passaggi tra le rocce e rigoli d’acqua, potevamo vedere tutta la spettacolarità di questa foresta. Una tappa d’obbligo è stata “Wilson stump”: il tronco cavo di un grosso e vecchissimo albero (età stimata 3.000 anni) in cui si può letteralmente entrare e guardare il cielo da dentro! Questo tronco cavo è particolarmente conosciuto perché si dice abbia un “cuore”, e dal suo interno lo si possa addirittura fotografare… ma certo non basta entrare dentro e guardare verso l’alto. Solo da una certa angolazione si può fare la foto che vedete qui sotto. Se andate a Yakushima ed arrivate fino al Wilson stump, aprite il vostro cuore e sarà il cuore dell’albero a cercarvi! 😉
Man mano che salivamo di quota, incontravamo sempre più alberi maestosi e dalle forme particolari. Uno di questi era “meoto-sugi”, due grossi cedri che sembrano abbracciarsi, per qualche strana casualità uniti da un ramo in comune. Infine, dopo una tonnellata di sudore versato, siamo arrivati al Jomon-sugi. Eravamo stanchi morti e l’umidità non ci aiutava affatto. Sebbene fossero circa le 3-4 del pomeriggio, nella foresta sembrava che il sole già cominciasse a calare. Non c’era più nessuno a quell’ora, eravamo soli, al cospetto di questo gigante che misura 25 metri di altezza (un palazzo di almeno 8 piani!) ed una circonferenza del tronco di 16 metri. Che meraviglia… immaginate un po’ che questo albero vive qui da 5000 anni, sempre qui. Com’era il mondo 5000 anni fa? Cosa ha visto questo albero in tutto questo tempo? Gli animali passati al suo cospetto, le persone che in epoche lontane sono giunte fin qui e le loro storie, incendi, nubifragi, copiose nevicate, terremoti, l’alternarsi ciclico delle stagioni, degli anni, dei secoli, dei millenni… Persa in questi pensieri, in quella magica atmosfera di foresta secolare, un po’ buia e così silenziosa, ho avuto addirittura un po’ paura.
Volevamo continuare a contemplare sua maestà Jomon-sugi, ma avevamo ancora un’altra ora di cammino. In quel periodo infatti il rifugio nei pressi del grande cedro era chiuso per manutenzione, quindi dovevamo raggiungerne un altro. Quanto era dura questa ultima ora!!!! Ogni 5 minuti sembravano 1 ora di camminata. Non ce la facevo più. Ad un certo punto mi sono seduta per terra e ho pensato: “dormiremo qui nella foresta stanotte? Ci sara qualche pericolo?”. Le mie gambe non ne volevano sapere di muoversi… Per fortuna mio marito mi ha fatto forza e così, con l’ultimo briciolo di concentrazione, siamo arrivati al rifugio prima del tramonto. Non potrò mai scordare quel momento in cui abbiamo visto il rifugio! 🙂
Il rifugio era per l’appunto una semplice struttura in legno, non certamente un albergo, quindi si arrivava lì senza prenotazione. All’interno non c’era niente, neanche l’energia elettrica. Ognuno dormiva nel proprio sacco a pelo lì in un unico stanzone, per un totale di massimo una quindicina di persone. Acqua di sorgente sgorgava da un tubo tra le rocce.
C’erano già alcune persone quando siamo arrivati, e qualche altra è arrivata nella mezz’ora successiva. Erano tutti giovani trekkers che erano partiti da altri sentieri: una coppia, un gruppo di 3 studenti di geologia, un ragazzo che stava girando il mondo ed era finito a Yakushima, un ragazzo backpacker e un altro addirittura americano. Abbiamo cenato tutti assieme in uno spiazzo accanto al rifugio approfittando dell’ultima luce della giornata. Il ragazzo della coppia diceva così:
“Ogni volta che facciamo un trekking impegnativo, sempre pensiamo che è stato l’ultimo! Ma dopo un po’ di tempo, immancabilmente, siamo lì che organizziamo il successivo!”.
E’ strano come a volte sia così facile entrare in sintonia con degli sconosciuti che non abbiamo mai incontrato prima e che quasi sicuramente non rivedremo più durante la nostra vita. C’era davvero una piacevole atmosfera, quasi surreale: grazie Yakushima! Finito di cenare col calare del sole, era ormai completamente buio e non c’era altro da fare se non dormire. Eravamo tutti esausti e abbiamo dormito come 10 mummie!
Day-2
La mattina dopo, rinvigoriti dall’eccezionale dormita, abbiamo fatto colazione sullo spiazzo e ci siamo incamminati sulla via del ritorno. Rispetto all’andata era tutto più facile. Lo zaino leggero senza cibo, il sentiero in buona parte in discesa, e sopratutto riconoscere la strada del giorno prima mi faceva sentire più sicura. Quando siamo tornati al Jomon-sugi, abbiamo rivisto quel ragazzo americano. Anche questa volta abbiamo potuto godere della quiete, perché il grosso dei trekkers della giornata non era ancora arrivato.
Sapendo di poter gestire il tempo, forse mi sono divertita più al ritorno. All’andata subivo la fretta di dover arrivare al rifugio prima del buio, la stanchezza, e poi nell’ultimo tratto non avevamo incontrato nessuno: questi elementi mi avevano irrigidito un po’. A mente più serena si cammina meglio e si ha anche il tempo per scovare qualche cervo o scimmia quà e là. Abbiamo seguito a ritroso il sentiero del giorno prima fino al bivio da cui ci eravamo immessi all’andata, e da qui abbiamo proseguito lungo i binari del trenino fino all’ingresso principale, Arakawa. Era facilissimo ma era un po’ noioso questo tratto (di solito chi fa il trekking in giornata sceglie questo tratto che è più veloce). Meno male che all’andata abbiamo attraversato la foresta da Shiratani.
Quando finalmente siamo arrivati all’ingresso di Arakawa, ci aspettava una piccola sorpresa molto carina. Dei volontari ci hanno regalato un paio di poggia-bacchette fatta da artigiani locali con legno di “yakusugi” (il cedro di Yakushima). Nelle foto delle mie ricette ogni tanto si vede questo regalino 😉
Ahhhhh! Che stanchezza che avevamo!!!! Ho pensato “mai più trekking!”
Poi certamente, quella sera a cena dopo una doccia rigenerante, abbiamo brindato alla nostra piccola grande impresa con due bicchieri di birra ghiacciata. Ovviamente giapponese! 🙂
Dopo il viaggio
Dopo Yakushima facciamo ogni tanto delle camminate nella natura, ma non abbiamo più fatto trekking con sacco a pelo. Anche perché adesso abbiamo una bimba piccola. Ma non dimentico le parole di quel ragazzo a cena al rifugio:
“Ogni volta che facciamo un trekking impegnativo, sempre pensiamo che è stato l’ultimo! Ma dopo un po’ di tempo, immancabilmente, siamo lì che organizziamo il successivo!”.
E’ vero. E’ proprio così!!!